Carcere e università: un binomio possibile. Mi fa piacere parlarne con i protagonisti: Laura Cambri della cooperativa Art.3, storica presenza nella Casa di Reclusione di Milano Bollate, e responsabile per l’Istituto appunto del polo universitario e tre studenti che sono persone detenute a Bollate, due di loro accedono già (art.21) ai permessi di uscita per lavoro e per studio.
L’avventura di Laura Cambri è iniziata anni fa al 4° reparto con interventi educativi dedicati in particolare a giovani adulti che affrontavano la prima detenzione ma intorno al 2008 ha dato concreta realizzazione a richieste, che con lei non sono cadute nel nulla, e cioè rendere possibile seguire un percorso di studi universitari anche in stato di detenzione.

La prima convenzione è stata stipulata tra l’Università Bicocca e il Provveditorato per l’Amministrazione Penitenziaria appunto nel 2008, a cui è seguita nel 2015 la convenzione dell’Università Statale di Milano UNIMI. Entrambi gli atenei, con quel primo passo, si sono impegnati -e tuttora è così- a facilitare i percorsi di studio delle persone detenute.
Trovo che la parola facilitare sia ampia e porti con sé una certa morbidezza che ritengo necessaria quando ci si apre a percorsi organizzativamente articolati ma che parlano di desideri e nuove progettualità di fronte ai quali le difficoltà si superano con slancio.

Laura infatti -partendo dall’aspetto economico- mi racconta che gli studenti detenuti per frequentare l’università pagano solo 156 euro di tassa regionale. A questo si aggiunge la disponibilità dei docenti a recarsi in carcere quando uno studente ristretto è pronto a sostenere un esame orale. Se l’esame è scritto, Laura Cambri fa da ponte con l’università per ricevere la prova, farla sostenere allo studente e rimandarla in università. Ancora: gli atenei propongono agli studenti la possibilità di svolgere attività di tutoraggio all’interno del carcere in favore degli studenti ristretti e questo aspetto è un supporto fondamentale sia per il reperimento del materiale che per permettere lo studio. Questo rapporto inoltre, simbolicamente ma non solo, riesce a rappresentare un elemento fondante della frequenza universitaria e cioè lo stare in relazione, la socializzazione, il lavoro di squadra, il sostegno reciproco.
L’Istituto agevola gli studenti che si impegnano nel percorso, che cioè si iscrivono e sostengono gli esami con una certa regolarità, a fornire loro nei limiti del possibile una stanza singola per potersi dedicare con maggiore concentrazione e libertà allo studio. A questo, per chi già può usufruire dei benefici derivanti dall’art.21, si aggiunge l’opportunità di recarsi alla biblioteca dell’università o a seguire dei corsi in presenza, oltre che uscire per il lavoro. I materiali di studio comunque vengono portati anche all’interno del carcere.

Alcuni numeri: attualmente ci sono 75 persone iscritte (circa il 4% della popolazione detenuta), di cui 15 all’Università di Milano Bicocca e 60 presso l’UNIMI.
I corsi scelti più di frequente riguardano gli ambiti di scienze giuridiche, storia, filosofia, scienza della comunicazione e dei beni culturali, economia e management. Minore il numero di studenti iscritti a discipline scientifiche, probabilmente anche per la necessaria frequenza ai laboratori. Anche rispetto a questo però gli atenei hanno offerto una soluzione, permettendo allo studente detenuto di “accumulare” la frequenza alle parti pratiche nella fase in cui abbia la possibilità di recarsi in università grazie ai benefici dell’art.21.

Filippo ha 38 anni e sta frequentando giurisprudenza all’UNIMI. Al momento ha già dato una decina di esami e conta di terminare il ciclo di studi nei prossimi tre anni, momento che coinciderà con il termine della sua pena. Quando abbiamo chiacchierato della sua esperienza, mi ha detto di aver trovato una organizzazione molto buona sia da parte dell’Istituto che dell’Ateneo e con la possibilità di fissare esami velocemente e avendo riscontri sempre rapidi. Quando aveva un lavoro part-time andava anche nella biblioteca universitaria, oggi che lavora a tempo pieno non ha più modo di farlo e si sta riorganizzando la giornata e le energie per riuscire comunque a preparare gli esami. Il carcere di Bollate infatti valorizza molto l’aspetto del lavoro e lo agevola per quanto possibile, ritenendolo ovviamente un elemento fondamentale perché la persona, una volta terminata la permanenza in carcere, possa avviare una nuova fase della propria vita in modo sereno.
Organizzazione della giornata a parte, Filippo ha tutta la voglia e l’energia di dedicarsi a entrambi gli impegni e infatti più volte mi dice del rimpianto di non aver iniziato prima e aggiunge: “Iniziare l’università ha cambiato tutto: prima non avevo molta consapevolezza e soprattutto non pensavo di poter fare molto oltre i reati commessi. Ora sto scoprendo molte cose di me e questa è stata una delle scelte più azzeccate. Vorrei anche che raccontassi delle testimonianze che, grazie a Laura, ho avuto la possibilità di fare in alcuni licei. Ti dico che sento questa come una delle opportunità più importanti che il carcere mi ha dato, è stato un volontariato che mi ha restituito tantissimo! Oltre a raccontare ai ragazzi cos’è la vita in carcere per me la cosa più importante in assoluto è sottolineare che ogni scelta ha una conseguenza. Credimi, se riesco a far passare questo anche solo con una persona alla volta, una alla volta, io sono contento“.

Emanuel invece di anni ne ha 31 e sta per terminare il corso di economia e management all’UNIMI: 5 esami e il percorso triennale sarà concluso, il suo invece da persona detenuta è un po’ più lungo ancora ma l’energia che lo muove non lo tiene bloccato al pensiero di quando lascerà il carcere.
Mi dice: “Lo studio è fondamentale per una persona che si vuole dare una seconda chance. Di questo sono proprio convinto infatti ho aiutato altri ragazzi a iscriversi. La cultura mi ha dato e mi dà tanto oggi. La mia partenza è stata motivata in un certo senso da una sfida a me stesso e da una promessa fatta ai miei familiari. Oggi c’è di più. Sai, il 25 maggio sono stato al Senato perchè faccio parte anche del gruppo Trasgressione col dottor Angelo Aparo: è stato molto importante portare la nostra testimonianza ma sento importante anche quel che faccio con il gruppo Pugni Chiusi dove pratichiamo la boxe vista soprattutto come pratica attraverso la quale imparare a vivere nei limiti, nelle regole e soprattutto nel rispetto dell’altro.
Ti ho parlato di tutte queste cose e non solo dell’università perché una delle cose importanti secondo me è sviluppare delle alleanze. Sono fondamentali in generale e per i momenti di necessità, per questo ti parlo di Art.3, di Trasgressioni, di Pugni Chiusi e, in questi anni, ho scoperto che anche lo studio è un alleato così come il lavoro che per fortuna ho.
Io ho una vita ricca. Ce l’ho perché ho scelto di andare oltre e tutto nasce dal domandarsi cosa si vuole dalla propria vita. Io mi sto muovendo nella direzione delle mie risposte
.

Cristian, 44 anni, a Bollate è arrivato da poco. Anche se anagraficamente è il più grande, è il più giovane come esperienza detentiva. Ha bisogno di raccontarsi e prima di dandare al tema dell’università vuole dirmi dello stupore che ha sempre nel sentire attorno a sé la presenza così intensa della sua famiglia, della sua compagna: “Io davvero non so come facciano!” mi confida commosso.
In realtà l’energia che lo muove è molta e ha già lasciato affiorare la sua resilienza che lo ha fatto attivare fin da subito. Si è iscritto anche lui all’UNIMI al corso di Economia e Management e tra pochi giorni darà il primo esame. Ha trovato a Bollate condizioni che hanno favorito la sua volontà. “La scelta è arrivata -dice- all’inizio per senso di responsabilità e perché lo studio offre concretezza e nel mio caso mi ricollega all’ambito dove già lavoravo”. In realtà, man mano che il racconto si dipana, sembrano già essere cambiate tante cose in lui: “Sento che il modo in cui interpreterò il lavoro in futuro sarà del tutto differente da come lo vivevo prima. E intanto in carcere già noto delle differenze: all’inizio il mio obiettivo era solo far passare il tempo per non fermarmi, per non pensare forse quindi studiavo per impegnare il tempo, ora sento che ne ho bisogno, ora vedo che sono su un percorso, lungo e duro, ma sono su un percorso che sta già svelando un giorno dopo l’altro cosa ha davvero senso“.

Sembra ovvio fare tanti auguri a tutti loro ma li voglio fare perché non è ovvio essere in carcere, non è ovvio mentre si è in carcere cercare un lavoro e insieme decidere di iscriversi all’università. Passi, passi e ancora passi, inarrestabili -quelli sì- che mostrano, un giorno dopo l’altro, quanto ampio è il territorio dentro ognuno di noi. DAJE!!!