Tra gli aspetti che nutrono ogni individuo, c’è sicuramente la bellezza. Stare immersi in essa, che si tratti di un paesaggio, un rapporto personale, anche un solo sguardo, una musica, un’opera d’arte o qualunque altro elemento, culturale e non solo, a cui ognuno ama ricondursi fa stare bene. Per questo troviamo particolarmente interessante proporre la sintesi di questa notizia del Ministero della Giustizia che dà conto della possibilità per alcune persone detenute di poter lavorare presso il parco archeologico di Pompei, iscritto nel Patrimonio UNESCO.
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“Un’iniziativa che coniuga elementi essenziali per attuare in pieno la funzione costituzionale della pena: il lavoro innanzitutto, ma anche la cultura e la bellezza (…). Questo accordo sul lavoro di pubblica utilità, che consentirà ad alcune persone private della libertà di lavorare presso il parco archeologico più famoso al mondo, assume un valore straordinario. A chi verrà a prestare qui il proprio servizio – persone ovviamente con profili adatti – noi offriamo una nuova occasione. La offriamo a loro e la offriamo alla nostra società: il lavoro è infatti la via maestra per arrivare alla recidiva zero, evitare cioè che chi abbia commesso un reato torni a delinquere”. Queste le parole del ministro Nordio.

(…) Le peculiarità di un’iniziativa che si svolge nel parco archeologico di Pompei, dal 1997 patrimonio dell’Umanità Unesco, è stata sottolineata dal Capo Dap Giovanni Russo, che ha definito proprio l’umanità “uno dei temi che devono attraversare l’esecuzione della pena”.
“Ho provato a immaginare una detenzione ottusa fatta solo di privazione di liberà come una coltre di cenere e lapilli proprio come quelle vite sommerse nel 79 d.C a cui l’archeologia restitituisce realtà (…) Facciamo sì che si sentano parte di questo patrimonio dell’Umanità, che riescano a cogliere quanto c’è di unico e straordinario in questo parco. E avviamo un processo per trasformare Pompei in un sito mondiale del recupero sociale”.

Aspetti messi in luce anche dalla provveditrice Castellano, che ha definito il progetto una “contaminazione tra carcere e territorio che ricalca esperienze precedenti e che consente al detenuto di uscire e aprire la mente alla bellezza”.

(…) Come ha ricordato il direttore generale detenuti e trattamento, Gianfranco De Gesu, “sono in essere circa 70 protocolli tra l’Amministrazione penitenziaria ed istituzioni pubbliche e private, che interessano quasi 700 persone detenute“.

[fonte: gNews online per il testo integrale della comunicazione di Antonella Barone]