È un piacere illustrare esempi virtuosi che si sono realizzati in alcune strutture penitenziarie e che, in particolare, sono stati offerti a donne detenute. Quasi superfluo sottolineare il valore in termini di occasione e percorso di cambiamento. Si è rivelato un mezzo utile sia per favorire una ri-socializzazione all’interno della struttura penitenziaria sia come veicolo di inclusione sociale al termine della pena.
Anche durante la detenzione quindi si sono messe le basi per una possibilità di riscatto.
Vi parlo oggi della creazione di un laboratorio sociale, avviato diverso tempo fa da una donna, dirigente di banca, Luciana delle Donne. Nonostante avesse avuto un’occasione lavorativa prestigiosa, decise di cambiare vita per creare, presso la casa circondariale femminile Borgo San Nicola di Lecce, un laboratorio sartoriale. Concretamente ha aiutato le donne attraverso il lavoro. Il suo obiettivo non è stato solo insegnare a cucire ma offrire una proposta di cambiamento, “rigenerare tessuti e vite”, dare una seconda chance, creare nuova consapevolezza fatta di impegni da rispettare e responsabilità; riassumerei così la sua filosofia. È stato un esperimento di umanità prima di ogni altra cosa: le donne detenute coinvolte, in certi casi all’inizio apparivano diffidenti: erano piuttosto incredule che il carcere stesse offrendo loro una simile realtà.
Non giudichiamo e non cerchiamo colpevoli, ma solo compagni di viaggio
Queste le parole riportate su un foglio a quadretti affisso in bella vista sul muro del laboratorio. È stato il mantra che tutti nel carcere di Lecce hanno conosciuto. Nella struttura penitenziaria di Lecce si producono manufatti che vengono definiti “diversa(mente) utili”: borse e accessori, custodie per device digitali e ancora foulard originali e colorati. Perfino Papa Bergoglio ha indossato un loro braccialetto con la scritta Non farti rubare la speranza.
Per la produzione vengono utilizzati materiali di scarto: “La nostra attività promuove un modello di economia rigenerativa che fa bene all’individuo, alla comunità e all’ambiente”, spiega Luciana. Dagli scarti possono nascere cose ambite e belle. Si tratta di un messaggio a cui l’intera squadra tiene molto, perché aiuta a comprendere che tutti hanno diritto a una seconda possibilità, specie quando pesa il pregiudizio di chi considera le persone detenute “scarti della società”.
Oltre alla creazione di Officina Creativa, una cooperativa sociale senza scopo di lucro, Luciana fa nascere il marchio Made in Carcere che impiega personale anche una volta terminata la pena.
Per quanto riguarda la retribuzione, le buste paga vengono gestite da un ufficio interno. Le lavoratrici possono mandare una parte di quanto guadagnano a casa oltre a comprare quello di cui hanno bisogno compilando la lista della spesa una volta a settimana.
Nel carcere di Lecce si può dire che sia stata costruita una “cassetta degli attrezzi”, che contiene tutte le informazioni utili per avviare altri modelli di impresa sociale con caratteristiche analoghe. Nello staff, attualmente composto da 40 persone tra detenuti e incensurati, sono incluse le persone che beneficiano del permesso di lavoro (Art.21 O.P.).
Infatti l’Università della Repubblica Dominicana ha scelto di trasferire l’esperienza nata a Borgo San Nicola anche nelle carceri di Santo Domingo e Rafey.
Conoscendo direttamente la bontà di questa realtà, sarei lieta di poter incentivare, anche attraverso queste parole, l’acquisto di queste creazioni, avendo Luciana strutturato punti vendita fuori del carcere, cosa che potrebbe aiutare l’operato delle donne che vi partecipano.
È possibile acquistare costumi da bagno, shopper, borse, accessori, gadget etici, gift card e tanto altro ancora sia online che presso diversi punti vendita a Lecce, Bari, Napoli, Milano www.madeincarcere