Cinque giorni di vicinanza e di pratica, perché la pratica non è solo quella seduta a gambe incrociate ma è il ricordare (nel senso di riportare alla mente) e applicare il Dhamma momento per momento, in ogni tempo e in ogni luogo, anche passeggiando per le vie di Milano tra centinaia di turisti e tante magliette rosa per la ricerca sul cancro.
Ho immaginato sempre i Monaci e le Monache come degli esseri eterei, al di sopra delle parti, senza vizi ma solo virtù e invece la loro vicinanza me li ha resi più umani e fallibili, e anche se non li ho mai colti in fallo, adesso sono ancora più convinta che si può fare, con determinazione, convinzione, ognuno può perseguire la via del Dhamma.
È stato bello praticare con loro ma anche trascorrere del “tempo libero”, tutti insieme, al di là degli insegnamenti e del cuscino da meditazione.
È stato bello parlare e riscontrare come tutto possa rientrare nel contesto degli insegnamenti.
È stato bello chiedere consiglio, ma anche confrontarsi sulla modalità di mettere in pratica, negli ambienti più disparati.
È stato bello apprezzare la loro curiosità e interesse reale per questa o quella situazione e persona e vederli accogliere la mia esperienza nel carcere come qualcosa di cui nutrirsi.
La modalità amorevole, curiosa e interessata di Ajahn Mahāpañño, di Bhante Dhammasiri e dei Bhikkhu che sono venuti a trovarci a Milano, nel carcere di Bollate e di Monza, ha aperto il cuore di tutti noi, delle persone che seguo nei gruppi, degli educatori e di noi operatori. La loro disponibilità, l’accogliere il bacetto sulla guancia (effusioni che per un Theravada non sono contemplate) e rispondere alle domande con amorevolezza e compassione, è arrivata forte e chiara a ognuno.

“È stato forte ed emozionante perché quello che diceva (Ajahn Mahāpañño) non erano parole ma era lui, era tutto lui”.
“Quella preghiera fatta per noi è stata una bomba, vorrei avere il testo in lingua originale e anche la traduzione, mi è arrivata al cuore e mi ha commosso”.
“Penso che anche lui ne ha passate delle belle, eppure è così sereno…”
“Quando il monaco giovane ha detto che qui si sta bene un po’ mi sono girate le scatole ma poi ho capito cosa voleva dirmi”.
“Penso che quello che stiamo facendo è qualcosa che ci dà tanto, io mi sento meglio, ogni giorno faccio riflessioni sulla mia mente e comincio a capirci qualcosa”.

Questi alcuni dei tanti commenti e apprezzamenti condivisi dalle persone dei gruppi.

La bellezza di questi incontri sta nel fatto che ognuno ha bisogno di aprire il cuore, di essere accolto nel cuore e di donare il proprio cuore.