Siamo felici di poter riassumere qui le varie uscite stampa, in radio e su piattaforme di informazione digitali che hanno visto protagonista LPP nelle recenti settimane.
Siamo apparsi su Repubblica nella rubrica della testata nazionale Mondo Solidale e poi con un secondo articolo su Repubblica nella cronaca di Milano, ospiti a Radio NumberOne, su Redattore Sociale, su Vita.it, e su Luce! La Nazione ma soprattutto sul giornale il Cittadino di Monza nella rubrica Oltre i Confini i cui redattori sono persone detenute.

Riportiamo di seguito il testo integrale. A renderci felici non sono tanto le belle parole che ci vengono dedicate ma sentire come le persone che incontriamo, a volte, vengano profondamente toccate dalla prospettiva che imparano pian piano a conoscere attraverso le pratiche di consapevolezza e di cui noi proviamo a renderci canale.

Sono un detenuto della casa circondariale di Monza e vorrei parlare di un corso intrapreso all’interno del carcere che ha cambiato in maniera decisamente esponenziale il mio percorso, migliorando così anche la mia vita. Nella prima parte della mia carcerazione ero tutt’altro che un detenuto modello. Entrai con tanta rabbia, con la mentalità del non rispetto delle regole. Venivo da un mondo che girava così veloce che era molto difficile stargli dietro, una vita frenetica e irregolare. È sempre difficile adattarsi a situazioni diametralmente opposte come queste descritte sopra, ma per me lo è stato forse ancora di più anche perché stavo giusto rimettendo insieme i cocci raccolti da una vita che negli ultimi dieci anni avevo frammentato. Stavo recuperando il rapporto con un figlio che iniziava a fidarsi di nuovo di me. Vedendomi così sofferente e arrabbiato una volontaria dell’area educativa, Nadia, mi propose un corso di gestione della rabbia e delle emozioni che si chiama punto Liberation Prison Project. Si tratta di un progetto nato all’interno del carcere di Bollate da un’intuizione di un monaco buddhista e ci è stato riproposto anche a Monza, sotto la guida di Elena, una docente fisioterapista che definirei amorevole. Durante quelle due ore settimanali del progetto si dedicava a noi con totale dedizione e affettuosa attenzione avendo chiaramente a cuore solo il nostro benessere. C’è stato così insegnato come fermarci, come porci domande che sembrano banali e scontate – stiamo bene? in cosa possiamo migliorare? cosa ci preoccupa? – e con ciò ci ha aiutato a trasformare le nostre paure, le ansie e le preoccupazioni attraverso la respirazione. Ci insegna a prendere i nostri demoni a braccetto e a camminarci insieme.
Entrando in San Quirico mi vennero prospettati vari corsi, come a tutti reclusi, corsi che avrebbero permesso agli educatori di emettere una sintesi comportamentale sul percorso carcerario che ogni persona deve effettuare, per dare la possibilità di una valutazione di buona condotta e avere in fine il nulla osta dell’istituto di pena per la reintegrazione nella società. Un corso mi ha subito incuriosito, interessato positivamente vuoi per la preparazione della docente vuoi per la serenità che con il suo tono di voce, le parole profonde che arrivavano a toccare le zone più remote dell’animo erano un solido appiglio dove attaccarsi e scaricare la tensione psicologica emotiva creata dallo stato di detenzione. Liberation Prison Project grazie alla meditazione e, aspetto primario e fondamentale, la respirazione con il controllo del diaframma punto di forza per soggetti tendenti a perdere il controllo e scaricare in rabbia e violenza incontrollata. La dottoressa con i suoi modi dolci ma anche decisi e intransigenti, quando serve, riesce a far viaggiare la mente dell’individuo stimolando la produzione di serotonina, richiamando immagini, gesti, momenti che senza un’attenta riflessione e meditazione sarebbero rimasti sepolti nel subconscio più remoto oltre a liberare la mente dalle negatività del momento riesce a infondere fiducia nell’individuo fino a portarlo in alcuni casi in pianti liberatori A mio modesto parere, Liberation Prison Project è uno di quei corsi che obbligherei tutti a seguire, per dare un senso di sostegno, un conforto e trovare la forza – parlandone in gruppo – di cercare e trovare quell’aiuto che singolarmente sarebbe più difficile trovare a questo periodo ameno è devastante chiamato carcerazione, dove la mente di un uomo posto sotto stress emotivo tende a rinchiudersi in un’isola che porta irrevocabilmente a quella che è una delle malattie peggiori che possa colpire un uomo: la depressione.
Grazie Elena! Grazie Liberation Prison Project per la possibilità che dai a persone come noi che, pur avendo sbagliato, hanno ancora la possibilità di continuare a vedere una luce nel cielo azzurro e soprattutto la volontà di tornare a credere in noi stessi e nella gioia di vivere.

Gran parte delle nostre attività non sarebbero possibili senza il contributo dell’8xmille dell’Unione Buddhista Italiana, che finanzia numerosi e interessanti progetti di vario genere e anche laici. Dall’interno testimoniamo la meticolosità con cui ogni ente sostenuto è tenuto a rendere conto in ogni dettaglio del proprio operato e questo rappresenta una garanzia per chiunque voglia firmare per l’8xmille all’Unione Buddhista Italiana.

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