La pratica meditativa non è un’attività nuova all’interno degli istituti penitenziari di quasi tutto il mondo, e anche in Italia si medita in diverse carceri.
Portare la calma e un po’ di pace nella mente e nel quotidiano delle persone detenute è veramente di grande beneficio; è un modo per cominciare a cambiare le abitudini, a spostare il punto di osservazione per far emergere nuove sensazioni e possibilità.
A Bollate, all’interno dei gruppi di consapevolezza proponiamo molto spesso le pratiche meditative ma ancora non avevamo proposto degli incontri specifici sulla meditazione: poca parola, tanta osservazione e allenamento al silenzio della mente e il prendersi cura.
Un gruppo di sola meditazione è quasi una scommessa e decido di provarci. In accordo con le educatrici di reparto mettiamo un cartello con su scritto: “partecipa al gruppo di meditazione per imparare a fermare la mente e dormire sereno”.
Immaginavo si presentassero 4 o 5 persone al massimo, magari tra quelli che già avevano partecipato a qualche corso proposto in precedenza nell’ambito della consapevolezza invece, con mio sommo stupore, all’invito rispondono ben 14 partecipanti quasi tutti neofiti.
Cominciamo senza presentazioni, né mia, né loro. Li faccio accomodare in cerchio e propongo di respirare prima a occhi aperti, poi chiusi, prima lasciando che tutto avvenga in maniera naturale, poi andando a osservare il respiro, e diventando consapevoli del corpo che respira.
Dieci minuti di meditazione, suono i cimbali e cominciamo in silenzio a guardarci negli occhi, c’è curiosità e stupore, qualcuno è intimorito, qualcun altro infastidito.
Chiedo di presentarsi, in formato minimalista: nome e una parola su come è stato meditare. Poi arriva il mio turno, mi presento, presento LPP, racconto loro attraverso poche parole il “potere curativo della meditazione”.
Da allora, poco più di due mesi, il gruppo è sempre stato tra le 12 e le 14 persone, qualcuno esce (permessi, lavoro…), qualcun altro si aggiunge, arrivano prima dell’orario, sistemano la sala e le sedie, due parole prima di cominciare: 10 minuti di meditazione iniziale per calmare la mente ed entrare in uno stato di maggiore presenza; 10/15 minuti di “esercizi” (corpo, etichettatura, contare, mantra mentale…); 20 minuti di metta/karuna (pratica di benevolenza e compassione, declinate in svariati modi). Tra una pratica e l’altra qualche condivisione breve, di stupore, di dolore o di grande beneficio, talvolta un’intuizione.
La bellezza di ritrovarli lì, ogni settimana, ad affrontare demoni e sofferenze ma con la voglia e l’energia di provare a cambiare qualcosa dentro di sé. Tutto questo è per me profondamente ispirante. Sentire che si cimentano a osservare il respiro mentre aspettano di poter telefonare, o mentre vanno a incontrare i propri cari, o ancora per calmare il turbinio della mente nei momenti difficili è veramente un regalo molto grande che ricevo.

“Ho capito che posso volermi bene e questo ha cominciato a farmi vedere che non sono solo da buttare via. Quando mi guardo con gli occhi chiusi e mi mando quella luce di cui parli mi vedo tanto sofferente, provo rabbia e tenerezza per me stesso e vorrei fare qualcosa, come se quel ragazzo che vedo non sia io ma un altro da aiutare e io voglio aiutarlo.” (citazione di una persona detenuta)