Che si tratti di una prima esperienza detentiva o anche “solo” di un trasferimento da carcere a carcere, l’ingresso in un luogo che rappresenta la privazione della libertà, l’allontanamento dagli affetti, la convivenza con persone che non si sono scelte e il generale disorientamento di carattere pratico (attivazione delle telefonate a casa, a chi rivolgersi per notizie sul proprio percorso detentivo e molto altro), può rivelarsi un momento di elevata difficoltà sotto tanti punti di vista. Si vive la cosiddetta “sindrome da ingresso”.
Un quadro generale così complesso può mettere a rischio il funzionamento di persone spesso già compromesse sul piano personologico e socio-relazionale e può essere causa di una serie di disturbi a vasto raggio, tanto più frequenti quanto più è elevato il grado educazione, sensibilità e cultura della persona detenuta. Sarà maggiormente sentito per queste persone il divario fra il tenore di vita precedente alla carcerazione e quello del momento presente, un mondo lontano dagli affetti e dai legami socio-familiari. Non a caso statisticamente, in questa fase così delicata si presentano più facilmente atti suicidari e di autolesionismo. Alla luce di tutto ciò, all’interno del 7° reparto a Bollate (come anche in altri reparti), è stata avviata l’attività Nuovi Giunti che coinvolge un’équipe integrata composta da persone detenute che si rendono disponibili ad aiutare chi arriva, da operatori interni, quali i funzionari giuridico-pedagogici, gli agenti di polizia penitenziari e i volontari esterni (ex Art.17 O.P.) che si occupano di svariate attività, come gruppi di consapevolezza che teniamo noi di LPP, oppure yoga, laboratori creativi e d’arte, corsi di lingue, culti, gruppi di sostegno e condivisione e tanto altro. Quando mi è stato proposto di unirmi all’équipe, formata anni prima del mio arrivo come operatrice di LPP e, successivamente, diventare la figura di raccordo per poter proseguire con questa importante attività, ho subito accettato. Ritengo che dedicare momenti di accoglienza e informazione per le persone “nuove giunte” sia cruciale per favorire l’ingresso, l’orientamento e l’ambientamento in un contesto così complesso e carico di vissuti ed emozioni. Si percepiscono paura, disagio, smarrimento, sofferenza per l’allontanamento dai propri cari, senso di vergogna e colpa e, allo stesso tempo, senso di ingiustizia sentito da molti. Si tratta di un passaggio carico di significato e valore, indipendentemente dalla loro responsabilità, soprattutto all’interno del 7° reparto, che a Bollate ospita i protetti: autori di reati sessuali ed ex appartenenti alle forze dell’ordine. Qui si riscontra una quota maggiore di compromissione dal punto di vista emotivo e psicopatologico. Da un certo punti di vista, in alcuni casi, l’incontro dei nuovi giunti con gli operatori e i detenuti che si rendono disponibili per gestire in autonomia una serie di servizi interni (sportello giuridico, segreteria, sportello sociale, corsi di formazione autogestiti, laboratori di vario genere) può rappresentare un primo passo verso la comprensione e la realizzazione di cosa voglia dire “essere responsabili”. Il riferimento non è solo ai motivi che li hanno portati a dover scontare una condanna, ma anche rispetto a quanto può essere determinante, per sé affrontare il percorso detentivo in chiave consapevole, propositiva e costruttiva. A questo si aggiunge dover affrontare la permanenza forzata e al contempo lavorare con sé stessi rispetto ad una visione futuro-centrica di reinserimento socio-famigliare che non ripercorra le stesse scelte di vita e le stesse azioni lesive.
Il progetto inizialmente ha visto la necessità di costruire un impianto efficiente attraverso un’adeguata formazione di tutte le persone coinvolte. Il lavoro constante in équipe e in raccordo tra i diversi attori coinvolti, a oggi prosegue con costanza in un’ottica di peer support, portando avanti le azioni secondo le buone prassi condivise e in autonomia. Si è costituita una significativa rete di supporto autogestita proprio dalle stesse persone recluse.
Personalmente, dopo sette anni di attività all’interno di un istituto di detenzione, trovo che l’attività “Nuovi Giunti”, così come costruita dai colleghi che mi hanno preceduta e grazie alla consolidata autonomia dell’attuale gruppo operativo, sia un’attività fondamentale. Vengono fornite informazioni di carattere pratico ma, soprattutto, si incontrano volti, vissuti, emozioni. Quelle persone sono colpevoli di aver cagionato sofferenze, avendo agito scelte sbagliate e, allo stesso tempo, sono lì a incontrare, oltre alle proprie colpe, le proprie fragilità. Per quanto possa apparire un pensiero fuori dal comune, di fronte a loro c’è la possibilità di cogliere e accogliere una nuova opportunità di scelta, volta alla consapevolezza di sé e di un vivere personale e sociale diverso da “prima”.