Di seguito le testimonianze a cuore aperto di alcuni di noi…Grazie, dal profondo, a tutti!!!

INNAMORIAMOCI DELLE NOSTRE FRAGILITÀ di Alessandra Venturin
Sono sul treno di ritorno dall’Istituto Lama Tzong Khapa, in viaggio dopo 5 giorni passati con gli altri operatori di LPP che hanno partecipato alla convention annuale e varie sensazioni mi stanno reclamando attenzione.
C’è un’eccitazione mista a nostalgia, una mancanza che sa di pienezza, e riportando la mente a quei giorni provo a ripercorrere le tante emozioni che si sono succedute nei vari momenti dell’incontro.
Ricordo ancora quando mandai la mail per avere informazioni riguardo al corso per operatori LPP 2 anni fa, qualcosa mi chiamava e sapevo che dovevo farlo, ma quello che da lì sarebbe nato di certo non me lo aspettavo. Questo ultimo evento è stato la conferma, ennesima, che è proprio in questa direzione che voglio andare, percorrendo con i miei compagni questo viaggio.
Un viaggio dato da una direzione comune, da uno stesso “treno”, come la nostra presidentessa ha accennato all’inizio della Convention, ma che dà la possibilità ad ognuno di noi di esprimersi secondo le proprie capacità e attitudini.
Un sostegno fatto da paletti che sono un supporto attivo e non un vincolo o ridimensionamento della nostra espressione o capacità.
E non appena arrivata a Pomaia ecco quel nodo allo stomaco che si presenta nel percorrere i gradini che dal parcheggio portano all’Istituto, quell’emozione forte che toglie il respiro, come quando sei sulle montagne russe e ti appresti alla gran discesa del giro della morte, quel tornare a casa perché lì è partito tutto, lì il mio anno (il terzo corso) si è formato e ogni volta che torno è come riconnettermi a tutti i miei compagni e a tutti gli operatori degli altri anni, anche a quelli non ancora conosciuti.
E in questo spazio protetto ci concediamo di provare emozioni che fuori non ci permettiamo di provare o che non ci sentiamo di riuscire a provare del tutto. Abbassiamo le maschere e le difese per andare in profondità dentro di noi e conoscere un pezzettino di più di quello che siamo, o per scoprire ciò che non siamo.
Ed è quello che mi è successo in tutti i giorni del workshop e della convention, mi sono osservata quanto più possibile, notando l’urgenza che ho a volte nel fare le cose e cercare di vederne il bisogno sottostante. Ho osservato come spesso aspettative o previsioni che ho su qualcosa modificano il modo che ho di vedere le cose.
E soprattutto ho visto come spesso non mi sia facile essere in pace con le mie debolezze, con le mie fragilità, che cerco di nascondere agli altri e anche a me stessa.
Ma insieme ai miei compagni posso permettermi di essere come sono, con il loro sostegno ho visto le varie parti che sono dentro di me e una volta viste le ho abbracciate e accolte.
Grazie a due fantastici conduttori e guide nel workshop ritiro esperienziale, sono stata aiutata a capire che non c’è nulla di male a non rispettare sempre l’idea che ho di me e cosa penso vogliano gli altri che io sia.
Il gruppo ha supportato queste scoperte, anche quando non mi sentivo a mio agio sentivo la loro presenza e la compassione che mi mandavano con il cuore aperto, e questo mi aiutava a continuare ad osservare e accogliere.
Ci siamo messi vicini gli uni agli altri, e ci siamo seduti anche vicino a noi stessi e al bambino a cui spesso non diamo più attenzione.
L’obiettivo era vedere l’avversione, la rabbia, vedere cosa si manifesta in noi quando ci fa visita e quale può essere il bisogno sottostante questa manifestazione, il nervo scoperto.
Nessun compito di cambiare ciò che si sente, nessun aspetto di noi da dover nascondere a noi stessi e agli altri.
Ci era concesso di essere al cento per cento, di stare e fare pace con l’avversione con una presenza morbida e una fiducia nel processo.
Bellissima l’immagine che ci ha condiviso Massimo di un murales all’interno del carcere di Bollate di una donna con due secchi, uno dei quali è bucato. E questo secchio arrivato alla fine del cammino percorso dal fiume a casa è sempre triste perché non riesce a portare tanta acqua come il suo collega integro.
Ma ecco che la donna cambia la prospettiva, apre a una nuova visione, perché infatti le gocce cadute dal secchio credute un difetto, una fragilità di cui vergognarsi, hanno permesso alla terra annaffiata giorno dopo giorno di diventare verde e rigogliosa, a differenza della terra sotto l’altro secchio rimasta arida e secca.
La vulnerabilità, la fragilità danno modo di crescere e solo quando ci apriamo ad esse riusciamo ad andare davvero avanti, dando nutrimento anche agli altri.
Possiamo fare spazio alle fragilità che abbiamo senza doverle/volerle cambiare ma soltanto abbracciandole, come possiamo abbracciare un cuscino durante la meditazione recitandoci frasi di benevolenza (fatto anche questo al ritiro e davvero consigliato!)
Alleniamo il nostro stare, il nostro sentire, senza essere troppo rigidi ma neanche troppo permissivi, e fidiamoci del gruppo, della connessione con gli altri, pronti a dare sostegno ma permettendo anche agli altri di darlo a noi quando lo necessitiamo. Perché non sempre è facile accettare l’attenzione dell’altro, anche se a volte è l’unica cosa di cui abbiamo bisogno, non di essere consolati ma solo ascoltati, visti.
E abbracciamo le nostre mancanze, i nostri difetti, le nostre fragilità, innamoriamoci di noi ogni giorno.
Grata di fare parte di questo gruppo, di questa famiglia che sa accogliere e guidare, dando spazio alle nostre diversità e particolarità, e che ci guarda con occhi pieni di compassione e amorevolezza.

A MENTE FREDDA E CUORE CALDO di Gianni Tusacciu
Volevo condividere l’esperienza, appena terminata, del ritiro organizzato dall’Associazione Liberation Prison Project. È un appuntamento annuale tra gli operatori che forniscono le loro competenze in carcere.
All’arrivo all’Istituto Lama Tzong Khapa il vento sembra essere il padrone della collina e la vegetazione “piegarsi” alla sua forza; osservo una fila di cipressi che fluttuano in una altalena di piegamenti e di riassestamenti dettati dalle raffiche di vento che arrivano e si esauriscono; è un po’ come il respiro e la pausa tra espirazione ed inspirazione. Un universo in movimento e gli eventi naturali pronti a ricordartelo in questo momento. Vento benvenuto.
All’interno della stanza il pavimento è un solido appoggio, ci si puo’ sedere in cerchio e osservarsi in uno spazio interiore.
Questo ritiro ha il tema dell’avversione/rabbia
Tanti cicli di respiro seguendo il movimento e le sensazioni fisiche osservando il processo quando si porta davanti alla propria mente la parola avversione. Arrivano pensieri e stati emotivi piacevoli perché la mente vorrebbe in qualche modo proteggerci.
Un gioco armonico e forte: sono un cipresso radicato esposto al vento che si adatta alla sua forza. La fiducia smorza le ambizioni egoiche e rassicura .
Quanti cipressi al mio fianco che stanno piegandosi e sollevandosi provando come me a lasciare che le cose siano così come sono. Respiriamo insieme e prendiamo ossigeno per sentire l’avversione. La rabbia! eccola li! ci sei e ti vedo nel mio spazio, a volte chiara a volte sfuggente. È una condizione scomoda e doverla continuamente rimettere nel fuoco dell’attenzione produce proprio avversione.

La sensazione rassicurante della fiducia nel metodo la prende e la riporta davanti a me fino ad aver gli occhi curiosi puntati su di lei. Non ti voglio ma ti vedo. Vedo il Bambino dentro di me accompagnato per mano dal proprio “genitore affettivo”. Nella chiarezza “della. Visione” lo comprendo e provo amore per lui.

Dopo il lavoro personale c’è lo spazio di condivisione in coppia: ti guardo negli occhi e vedo se posso parlarti di questo bambino, del bambino che è in me. Provo gioia e commozione nella consapevolezza e nell’ aver fatto contatto con le emozioni nascoste dall’avversione/ rabbia e piacere nel volerle condividere.
Posso? In un gruppo formato puoi. Puoi permetterti di essere limpido, puoi permetterti di fare contatto con l’emozione. Mi sento libero di farlo senza paura del giudizio. Se dovesse accadere un giudizio mi sento ugualmente libero e sereno con quanto e’ accaduto dentro di me durante il lavoro.
Il rumore del vento fuori è un testimone di questa esperienza del ritiro e dentro di me il tempo è sereno.

L’OSPITE di Sabrina Ghiberti
Varcato l’arco di ingresso del monastero di Pomaia mi raggiunge un grande senso di calma e di pace. È sera tardi ormai, il dormitorio e i corridoi sono avvolti dal silenzio. Arriva la certezza che da domani saremo di fronte a noi stessi, si vedrà anche la parte che ci fa più paura o quella di cui un po’ ci vergogniamo. Ma qui è diverso: la luce che la illumina non è la stessa che altrove.
È mattino: inizia la convention LPP. Mi trovo ad avere un po’ di invidia per i compagni che sono qui da mercoledi e hanno vissuto anche il ritiro.
Mi colpisce che con la maggior parte non ci vediamo da mesi eppure c’è un senso di famiglia. Mi sento immergere immediatamente nel lavoro del gruppo come se il dialogo non si fosse mai interrotto.
Il momento più intenso per me è quello delle intervisioni, arrivano come doni le esperienze di ciascuno nei gruppi di consapevolezza.
Nel cerchio arrivano tante cose, soprattutto arriva il confronto con il dolore.
È un ospite conosciuto ma non siamo mai pronti davvero ad accoglierlo. Faremmo di tutto per non incontrarlo.
A volte è una presenza strisciante che crea muri di silenzio insormontabile,
a volte è abile a nascondersi, a mascherarsi sotto atteggiamenti di protesta e rabbia,
a volte è sordo come un lamento strozzato che ci immobilizza facendoci sentire inutili e impotenti.
Il dolore è lo stesso, il nostro, il loro, al di qua e al di là delle sbarre.

L’evento è che qui anche per lui si può trovare spazio. Possiamo trovargli un posto sul cuscino, invitarlo a sedere. Da questo incontro si fa più spazio; ora possono arrivare anche la gioia, la tenerezza, la meraviglia. Sono sentimenti che possiamo rivolgere verso di noi ma che potremo portare in dono al gruppo di consapevolezza.

Ed ecco invece un ospite meno atteso. Ancora piu importante da portare con me ogni giorno e al gruppo di consapevolezza: la fiducia. Una fiducia incrollabile che tutto ha senso, tutto si trasforma, tutto può essere così come è.
Per questo un senso di gratitudine va anche ora ai formatori, ai compagni, a Lara.

PIÙ CHE RITIRO, ESPANSIONE di Linda Pina
Esplorarsi per manifestarsi, riconoscersi nell’altro, nell’altra, ognuno con la propria ferita. Per abbracciarla, come fosse un cuscino. Un abbraccio che asseconda e riflette respiri ed emozioni.
Introspezione da condividere per accogliere le fragilità come forza motrice di una crescita possibile, ancora e ancora.
Ri conoscere la rabbia che ci abita, le cause e le origini, esplorare gli antidoti… primo passo per trasformarla.

e poi la convention,
per scoprire che abbiamo fatto pratica di ciò che qui si fa teoria.
La possibilità di poter condividere quest’esperienza, con tanta cautela e rispetto per chi ci accoglie, sulla traccia di un protocollo che rassicura chi, come me, è in partenza con un gruppo, in missione per Liberation Prison Project

LA RABBIA, I VELENI MENTALI – SHANKARA di Barbara Sini
Questo il tema del lavoro nella prima parte del nostro incontro, quella in forma di ritiro.
Osservare, riconoscere, non giudicare, non reagire: definire il processo interiore per gestire e trasformare le afflizioni, la rabbia (ma non solo). Attaccamento e avversione.
Origini dipendente di Dukka – dolore – Vedana, osservare la sensazione dolorosa:
Applico la consapevolezza su ciò che causa dolore e sofferenza; tutte la “catena” si scioglie
Dukka—- Brama—-Attaccamento—–Ignoranza (illusione), applicare la consapevolezza su Brama scioglie l’anello che collega all’attaccamento… per cui…. NON sorge
ILLUSIONE – IGNORANZA – AVIDYA , se li vedo nella consapevolezza l’illusione cessa di esistere.
Antidoti sul come stare: guardare il film come se fosse un cobra velenoso, STO FERMA – IMPERTURBABILE
EQUANIMITÀ soprattutto verso ciò che non posso modificare.
Oggetto per tornare alla consapevolezza: Respiro-corpo, ristabilire delle connessioni con oggetti che mi riportino al presente, quindi, riesco ad “uscire dalla storia” che ha indotto quel processo generando rabbia, sofferenza, ignoranza.
1-Esperienza meditativa analitica senza guida: Sulle avversioni; come si manifesta nel corpo- riconoscere
E se non sorge verifico come sto: innesco che fa scatenare la rabbia;
ricordi d’infanzia: ignorata, non amata, non ascoltata
Cosa si attiva: fisico-corpo nodo alla gola, vorrei allontanarmi
Cosa faccio: schema ricorrente: resistere- stare; sopportare una condizione di fastidio, esterno ed interno. Mi impongo di resistere, NON REAGIRE………ATTACCHI DI PANICO
Se reagisco???? NON SO REAGIRE… (in passato)
2 Esperienza meditativa analitica senza guida:“ Sulle avversioni; come si manifesta nel corpo- riconoscere
E se non sorge verifico come sto:
Permane lo stato di pace… provo a ricercare un avversione tipica o ricorrente quindi osservo e analizzo dal momento in cui si attiva la spia e come si evolve e manifesta nel corpo e nel respiro
Nella meditazione ho notato come è cambiato il modo, la modalità di vivere l’emozione, l’avversione, tutte le emozioni negative rispetto a eventi del passato (dall’infanzia all’adolescenza all’età adulta, oggi).
Ricercando situazioni del passato, ho vissuto in presenza consapevole le emozioni e applicando l’antidoto, il respiro consapevole, l’osservazione distaccata si è attivato in maniera autonoma il “distacco” emotivo, quindi emerge una sensazione di apertura, leggerezza, spaziosità che si impregna di compassione e amore per quella bimba, adolescente, ragazza, donna che aveva i suoi motivi per provare tali emozioni”.

Questo un breve racconto di una delle tante meditazioni che abbiamo praticato in questo ritiro.
È stato un crescendo di intensità sia per la pratica ma anche per l’esperienza emotiva profonda che ho vissuto, ogni giorno in più si delineava in me il capolavoro che avevo davanti in termini di programma e attività, la finalità e gli obiettivi.
E per concludere nella condivisione durante il workshop….. una vera esplosione di vissuti da parte di tutti i partecipanti, talmente intensa che genera dentro di me uno shock, da qui la decisione di denominarlo “Work Shock”.
Un Mega Super Grazie a Massimo Bonomelli, Laura Loparco, Lara (magnifica Lara), Maria Vaghi e tutti i compagni di questo meraviglioso Shanga.
Con gioia e amore

COMUNIONE DI SENTIMENTI di Fiorenza Minervini
Dopo uno stato di angoscia e pesantezza avvertito durante la convention a causa della mia ansia da prestazione e del mio bisogno di parlare e aiutare qualcuno, ho capito che, in momenti difficili, si può anche non parlare e avere un “cuore aperto” che ti porta a soffrire con gli altri.
La condivisione nel carcere è anche una comunione di sentimenti. Questo mi ha alleggerito e mi sento più leggera.